venerdì 21 maggio 2010

Lo vuoi un caffé? #171 - Time is Tight

Colorfoul man
photo by Mehmet Akin
Uno degli aspetti più odiosi della professione è che si aspetta, si aspetta sempre …
Si aspetta - anni – per arrivare a sentenza in una causa, si aspetta - mesi - per avere la copia di una sentenza; si aspetta – settimane - per conoscere una data di udienza; si aspetta – giorni - per far apporre un timbro su un documento e si aspetta - ore e ore - per discutere una propria causa…
Una buona parte della mattinata lavorativa si traduce in una serie di noiosissime file e interminabili attese.
Sopratutto se in giro non c’è nessuno che conosci e ancor più se sei in trasferta.
A volte per cinque minuti di udienza ci sono cinque ore di attesa.
Ad esempio stamattina sono arrivato in Tribunale a M. dopo una trasferta di un ora e cinquanta sotto un cielo umidiccio di pioggia in una mattina grigia.
Sulla strada ho trovato di tutto: trattori agricoli condotti da assonnati contadini, disinvolte signore anziane alla guida di fuoristrada ultimo modello e via discorrendo..…
Sono entrato di corsa, trafelato, in tribunale previa discussione con l’uomo del parcheggio e un altra con la macchinetta dei biglietti segna orario.
Preoccupatissimo che l’udienza fosse già iniziata mi son precipitato in aula – quattro rampe di scale - per scoprire che il giudice non era ancora arrivato e che la mia causa sul ruolo era la terzultima di 25.
Nel frattempo con il fiatone ho calmato al telefono la collega che mi sostituiva in un'altra udienza, a duecento chilometri di distanza, che non trovava nel mio fascicolo della documentazione.
Dopo circa mezzora è arrivato il giudice un tipino incazzuso che ha cominciato a sfoltire il ruolo rinviando, per una serie di motivazioni tecniche, una decina di cause in poco più di tre quarti d’ora.
Alla undicesima il meccanismo ha cominciato ad incepparsi per via di una domanda di patteggiamento con i calcoli della pena da applicare sui quali non c’era l’accordo tra il PM e l’avvocato difensore.
Superato questo scoglio – dopo lunga e noiosa discussione - è cominciata la serie delle cause per le quali occorreva completare l’istruttoria e gli interrogatori dei testi.
Per le successive quattro ore ho nell’ordine: 1) ascoltato brani degli interrogatori comprendendo finalmente quanto in una causa relativa all’incendio di stoppie avvenuto in Agosto di dieci anni fa sia fondamentale che il PM e tre avvocati rivolgano allo stesso teste la seguente domanda -“Ci può dire se ricorda che il quando è avvenuto il fatto la stagione era secca?”; 2) ho osservato con attenzione e sospetto un tipo dalla faccia sinistra – baffoni e capelli sale e pepe, gialli di nicotina – che si aggirava nell’aula chiedendomi quale crimine potesse aver commesso per poi scoprire che si trattava di un ufficiale dei carabinieri; 3) giocato con tutti i giochini che ho sullo smartphone diventando un campioncino di PacMan; 3) dettato un lungo verbale di udienza, per telefono, alla collega che mi sostituiva; 4) mandato messaggi di auguri – compresi quelli di Natale 2012 non si sa mai con sta storia della fine del mondo … – ad un pò di gente; 5) misurato a passi lunghi e poi a passi più stretti la lunghezza e poi la larghezza del corridoio, 6) sbirciato – ripetutamente - i fascicoli aperti sul tavolo dei colleghi; 7) ascoltato con irritazione lo squillare continuo della suoneria di una tipa modello vamp de noatri e assistito al suo andare e venire dall’aula con sulle labbra un sorriso ebete; 8) controllato l’ora ogni cinque minuti e via via ogni tre, due, uno …
Quando la mia causa è stata chiamata e il cancelliere ha fatto l’appello ho declamato le mie generalità e quelle del cliente con un vocione da muto che ha appena riacquistato la parola e che non riesce a calibrare l’intensità del suono emesso.
Abbiamo quindi discusso la causa nel seguente assetto di udienza: il PM stravaccato sulla sua poltroncina con l’aria di sufficienza di uno che si è rotto le palle; il giudice, sempre più incazzuso, che non vedeva l’ora di andare a casa e controllava in continuazione l’orologio, io e l’altro collega con l’aria stravolta di due che avrebbero ucciso la madre pur di andarsene al più presto di li.
Appena terminata l’udienza – durata 7 minuti e 30 secondi netti – c’è stata la fuga dall’aula prima che a causa dell’assenza di qualcuno dei colleghi si venisse bloccati per una sostituzione d'ufficio in una delle cause successive.
Recuperata l’auto ritorno un filo più celere che all’andata in studio dove un cliente apprensivo si era presentato con circa due ore di anticipo sull’appuntamento concordato impedendomi di andare a mangiare qualcosa.
L'ultima volta che doveva venire a pagare è arrivato con sole due settimane di ritardo sull'appuntamento concordato
Poi dicono che uno si droga…

Lo vuoi un caffè?” – chiede quello
No grazie ne ho gia presi un sacco da stamane” – trema l’altro rispondendo

4 commenti:

arzach ha detto...

@pippi: e vabbe ...almeno è servita a qualcosa...cmq c'era davvero poco da ridere

Emanuela ha detto...

accidenti, arzach, l'hai raccontata cosi' bene che anche se non ti conosco mi sembra di vederti...: )
io nella vita ho scelto di vivere all'insegna della lentezza, ma il mio lavoro mi obbliga spesso a parlare con molti tuoi colleghi esagitati... giusto l'altro giorno, uno di loro, al termine di una lunga telefonata di protesta durante la quale non avevo fatto una piega, mi ha domandato al limite dello sclero:"ma lei quante camomille al giorno si beve, per essere cosi' calma?"

William Alexander López ha detto...

Hermoso retrato, muy bueno !
Gracias por tus palabras, te dejo mis saludos y un fuerte abrazo

arzach ha detto...

@ william : ola william :-)