giovedì 16 dicembre 2010

Lo vuoi un caffè? # 212 - Che la pace sia con voi...(se possibile ovvio!)

foto di Vivian Maier

Nell’attesa che il Giudice di Pace che tiene udienza chiuso nella sua stanza, alla faccia della pubblicità del processo, si degni di trattare anche le nostre cause con i colleghi presenti ci scambiano, complice l’atmosfera di cameratismo che si crea solitamente in queste occasioni, opinioni e racconti sulle rispettive esperienze professionali.
Il collega L. in particolare lamenta il fatto che ogni Giudice di Pace, di fatto, applichi, complice l’ignoranza e la sciatteria sovrana un codice di procedura civile diverso, personale e molto, ma mooolto elastico, che nulla a che vedere con quello ufficiale della Repubblica Italiana e che spesso le interpretazioni giurisprudenziali sono determinate dallo stato d’animo con cui il giudice entra in aula al mattino più che dalla reale conoscenza degli ultimi orientamenti in tema
Anzi, aggiunge, con il conforto e l’assenso dei presenti, che secondo lui Giudice di Pace è il più basso, il più infimo e il più scandaloso livello di accesso alla giustizia cui un cittadino possa rivolgersi.
E questo, continua, per le commistioni palesi tra alcuni giudici e alcuni avvocati, se va bene, "solo” ex colleghi di studio, per l’impreparazione di molti giudicanti, per la follia della cause proposte e per l’eccesso di competenze attribuito a un giudice che originariamente, nelle intenzioni del legislatore, doveva limitarsi a decidere cause bagatellari, ovvero cause di poco conto ma egualmente di grande importanza per i cittadini e, invece, piano piano nel corso degli anni si è trovato ad avere le competenze una volta dei pretori ma senza avere un corpo giudicante allo stesso livello.
Il collega X, silenzioso fino a quel momento, lo lascia finire e poi interviene:“La situazione è più grave di quello che tu pensi collega. L’altro giorno a X ho fatto udienza al GdP senza che nemmeno ci fosse il giudice. Ha fatto tutto il cancelliere"

Lo vuoi un caffè ?” – chiede quello
No ma non giudicarmi male per questo mio rifiuto“ – argomenta l’altro

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