mercoledì 2 maggio 2018

Lo vuoi un caffè? # 429 - Gnam! ,Gnam!

Arzach photo


Devo aver bevuto troppo…
Le palpebre sono pesanti, gli occhi tendono a chiudersi mentre il nostro ospite ci magnifica le capacità culinarie dello chef di questo ristorante sul mare nel quale ci ha portati a festeggiare il buon esito della sua causa con un pranzo a base di pesce: polpette di baccalà fritto, orata al sale, gamberoni arrosto e frittura mista. Il tutto innaffiato con dell’ottimo vino bianco, con tanto vino bianco…
Di fronte a me M. annuisce col capo alle parole del nostro ospite. Gli occhi vitrei e il sorriso un po’ ebete disegnato sulle labbra mi fanno capire chiaramente che anche lui ci ha dato dentro con il vino. L’unico che sembra ancora in grado di connettersi con la realtà e L. che, nell’attesa di accompagnarci a casa, si protende in avanti e rosso in viso, sbriciola tra le mani un altro pezzo di pane.
Il nostro cliente continua il suo sproloquio, adesso è passato a raccontarci di quando da ragazzo andava con lo zio a pesca di polpi con la lampara. Tra un po’, conoscendolo, comincerà a raccontarci di quando imbarcato su una baleniera e pescava con le mani i capodogli nel Mare del Nord.
Le sue parole, insieme con il fruscio di sottofondo del locale, mi fanno pensare attraverso quanti pranzi, cene e colazioni sono passato nella mia carriera professionale per arrivare a sedermi a questo tavolo in riva al mare in questa magnifica giornata di inizio primavera.
Gli inizi, come per tutti, sono stati il periodo più difficoltoso. Ricordo ancora quando, praticante appena agli inizi, tornando a casa nel pomeriggio direttamente dall’udienza, della quale non avevo capito nulla o nella migliore delle ipotesi avevo solo intuito qualcosa, trovavo sul tavolo della cucina, in casa dei miei genitori, un piatto, ormai freddo, che mi aspettava silente racchiuso come in una conchiglia.
Al suo interno, una massa informe, mesozoica, di pasta, mi attendeva paziente, in agguato.
Ancora adesso, nei miei incubi causati da una cattiva digestione, immagino di veder sbucare una creatura enorme, preistorica, che diventa sempre più grande fagocitando tutto quanto le sta intorno.
Devo dire che almeno una volta ho pensato essere un vero peccato non avere avuto un simile essere a disposizione la sera in cui il capo, ritornato nel tardo pomeriggio da una interminabile udienza penale, apparve nel vano della porta con un fascicolo in mano che non prometteva niente di buono. E puntando gli occhi sul sottoscritto e sulla altrettanto sfigata collega ci chiedeva, meglio ci ordinava, di redigere in fretta un atto entro il giorno successivo, meglio entro la mattina del giorno successivo, data di scadenza dello stesso. E come se nulla fosse ci salutava lasciandoci, come dire… In un mare di materia organica, e andava via.
Io e la mia collega, verde in volto come i fosfori dello schermo dell’antiquato computer di studio, ci mettevamo subito all’opera nel tentativo di produrre qualcosa di coerente con il nostro sistema giudiziario per la mattina successiva quando il capo sarebbe passato, a suo dire, a controllare il tutto e avrebbe provveduto a depositare il documento in tribunale. Dopo due ore di lavoro, non molto fruttuoso in vero, un certo appetito si impossessò di noi. Pensammo allora di ordinare una pizza come cena. Il ricordo più vivo che mi rimane di quella serata e l’immagine della collega che apparecchia la scrivania nostra stanza utilizzando i fogli protocollo custoditi nel cassetto.
Del praticantato ricordo ancora qualche cena con gli altri schiavi di studio a casa dell’uno o dell’altro o di qualche fidanzato delle colleghe o delle segretarie. In particolare ricordo una cena etnica, indiana se non sbaglio, preparata dall’altrettanto appetitosa sorella ventenne della nostra segretaria. Inutile dire che noi maschietti avremmo preferito assaggiare non le pur ottime pietanze vegetariane ma la tenera carne della ignara fanciulla.
Tempo dopo, ormai superato l’esame di abilitazione, avevo cominciato a collaborare con uno studio in città dove facevamo orario continuato dalle nove del mattino alle 10 della sera, con un breve intervallo per il pranzo.
Ricordo ancora le mie passeggiate nel centro città deserto del primo pomeriggio per recarmi nell’unica salumeria aperta della zona per ordinare uno dei famosi panini da “muratore” -pane fresco, mozzarella di bufala, prosciutto crudo.
Il piacere consisteva nell’entrare nel locale e rivolgersi al titolare-un omone un po’ sovrappeso, capelli bianchi, occhiali dalla montatura dorata-per salutarlo, ordinare il “solito” e vederlo preparare con le sue mani grassocce la meraviglia di cui sopra. Il tutto ovviamente senza che lui cambiasse espressione, anzi mantenendo un’espressione  scocciata sul viso, quasi fossi andato lì per disturbarlo da chissà quali importanti pensieri.
In realtà non era un maleducato ma semplicemente soppesava e attribuiva un valore diverso e una attenzione personalizzata a ciascuno dei suoi clienti sulla base delle informazioni che usciva raccogliere su ognuno di loro.
Il pasto veniva, poi, consumato nel magazzino sul retro insieme agli impiegati della banca di fronte, tutti tipi molto silenziosi, ingessati nei loro completi in tre pezzi e accomunati al sottoscritto dalla schiavitù degli orari.
Sempre in quel periodo, con C. uno dei miei compagni di sventura, avevo preso l’abitudine di andare a prendere il caffè e un dolcino alla pasticceria siciliana che si trovava sul corso, non solo perché la pasticceria li era ottima-cassata siciliana, cannoli, cioccolata calda di alta qualità-ma anche perché le cameriere erano tutte davvero molto, ma molto, carine.
Dopo quel periodo sono stati ancora pranzi con i colleghi e i clienti, colazioni di lavoro e cene di studio nelle quali il capo, alzando il calice al cielo, brindava all’ottimo fatturato raggiunto dallo studio nell’anno appena concluso e si augurava un miglioramento dello stesso per l’anno a venire. Ovviamente delle nostre retribuzioni e percentuali da fame non si parlava affatto.
Per fortuna arrivava l’estate, la bella stagione, e quindi si potevano invitare a cena le colleghe o le praticanti conosciute durante l’inverno. Il luogo del misfatto era sempre, data anche la stagione, in riva al mare se non, più romanticamente, direttamente sugli scogli. Ovviamente anche qui ognuno aveva il suo locale preferito. Nel mio preparavano degli ottimi cavatelli ai frutti di mare, fatti in casa; una portata che devo dire non ha mai tradito le aspettative anche quando veniva abbinata in maniera non proprio ortodossa a un vino rosso della zona, necessario per ammorbidire e possibilmente scardinare le difese della interlocutrice di turno.
Negli ultimi tempi andava di moda l’etnico, il giapponese in primis, per la gioia del sottoscritto che poteva far mostra della sua conoscenza – in gran parte inventata- della cucina nipponica.
“Che fai dormi?” - mi scuote L. dai miei pensieri.
“Forse ho bevuto troppo, che ne dite andiamo a prendere un caffè al bar qui dietro? ”- chiedo.
“Ad un caffè non si dice mai di no”- sentenzia il cliente, che sarà l’unico a passare davanti ai pescatori giù al porto, senza dover giustificare a nessuno il fatto di camminare barcollando.

“Lo vuoi un caffè?” – chiede quello.
“Magari dopo , quando mi sarò ripreso”- risponde l’altro.

4 commenti:

annathenice ha detto...

ah carissimo arzach che meraviglia di scrittura la tua.
E poi questa nota regionale così riconoscibile mi rende ancora più cara la descrizione di luoghi e abitudini culinarie.
Queste cose, andare a mangiare sugli scogli, i cavatelli, le riunioni sul ristorantino del lungomare, sono piccoli piaceri di cui noi 'del posto' riusciamo a percepirne anche i profumi, leggendoti.
Mi piacciono i tuoi racconti e mi piacerebbe vederli raccolti in un libro.
Magari finanziato da un produttore di caffè.
Chissà se un giorno ci riuscirai....
Io te lo auguro.
un abbraccio
Anna

Laura ha detto...

Caro Arzach che bel post, l'ho letto tutto d'un fiato e non ti nascondo che mi è venuta anche un po'di fametta. Arguto e ricco di particolari, come sempre del resto. Grazie perla piacevole lettura 😉aspetto il nuovo racconto!
Un bacione
Pippi

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