Non era proprio questo quello
che avevo in mente di fare quando ho iniziato con questo mestiere - penso- mentre
scavo a mani nude in una massa di detriti polverosi.
Non è una bella cosa fare
il necroforo, il profanatore, il disseppellitore di cadaveri ormai putrefatti, dimenticati.
Quello che cerco dovrebbe
essere sepolto qui a quanto ricordo a meno che, senza dirmi nulla, il maledetto
non si sia mosso.
Stando a quello che so
sull’argomento - sulla base della mia cultura, scarsa, in tema di horror - i morti non si muovono da soli meno che non si
trasformino in zombie sanguinari affamati di carne umana.
Borbottando e sbuffando
finalmente intravedo nella penombra il colore che indossava l’ultima volta che l’ho
visto.
Un verde bottiglia carico,
assolutamente fuori dei miei schemi, che ancora oggi mi chiedo da dove sia saltato
fuori.
Lo afferro con entrambe
le mani e lo estraggo faticosamente da sotto una montagna di fascicoli
polverosi che si sono accumulati nel mio archivio nel corso di oltre vent’anni
di attività.
Sorrido soddisfatto
leggendo l’intestazione in cima a quel fascicolo verde bottiglia corroso dal
tempo e coperto di polvere.
Fallimento XXX.
Dopo oltre sedici anni il
curatore fallimentare, colto da un attacco di buona volontà, ha finalmente
deciso essere arrivato il momento di chiudere definitivamente la partita.
L’esimio collega, possa
vivere in eterno, mi ha inviato una mail l’altro giorno allegando la sua relazione
conclusiva scatenando il panico in studio.
Dopo tanto tempo nessuno
ricordava più che ci fosse ancora un cliente in paziente attesa di sentirsi
dire dopo così lungo tempo che non avrebbe recuperato assolutamente nulla del
suo credito dalla procedura.
Ma, soprattutto, nessuno
ricordava più chi fosse il nostro cliente, né che fosse ancora vivo.
“Lo vuoi un caffè?” - chiede
quello
“Freddo, però” - risponde
l’altro
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