È
un fatto inequivocabile che oggi, soprattutto dopo gli ultimi anni di smart
working e contatti a distanza, siamo tutti alla mercé di quella entità misteriosa
dalla quale dipendono la nostra vita quotidiana e il nostro lavoro: la
connessione.
Come
faremmo a pagare il contributo unificato se non ci fosse una app che ci permette
di trasferire il denaro dal nostro (sofferente) conto corrente a quello (voracissimo)
del Ministero della Giustizia? Come faremmo a consultare i registri della
cancelleria per controllare le peripezie delle nostre pratiche senza il nostro nuovo
(strapagato) applicativo dedicato? Come faremmo a contattare il nostro collega
dall’altro capo del mondo per (tentare di) definire una causa che non vale il
costo della telefonata per poi litigare con il cliente per il rimborso delle
spese?
E
questo per non parlare della nostra vita “civile”…
Siamo dipendenti totalmente dalla connessione anche
per il nostro tempo libero, per il nostro divertimento, per la gestione della
nostra vita quotidiana…
Ed
è per questo ci sentiamo persi quando la mattina arrivati in studio accendiamo
il computer per scoprire che qualcosa non va nella nostra connessione.
Immediatamente,
trattenendo a stento il panico che si impossessa di noi e riorganizzando mentalmente
l’intera giornata, contattiamo senza alcun indugio quell’altra entità misteriosa
che risponde al nome di “servizio clienti” alla quale ci rivolgiamo, oramai
divorati dall’ansia, per risolvere al più presto il problema altrimenti siamo
fuori dal mondo, isolati dal resto della civiltà umana, dei reietti…
Il
mitico “servizio clienti” si manifesta con i suoi tempi dilatati dopo averci
sottoposti a varie prove iniziatiche tra le quali la prova di resistenza
dell’attesa in linea per poi giungere a confrontarsi in un surreale corpo a
corpo con la voce sintetica ed incorporea dell’assistente digitale che
ovviamente non capisce una beata m… mettendoti in attesa, prova che segue quella
di decrittazione del menu ad albero nel tentativo di trovare la strada per
venir fuori dal labirinto delle opzioni e delle offerte proposte e poter,
finalmente, parlare con l’operatrice (si spera) umana, annoiata e sottopagata
che, previa minaccia (vagamente intimidatoria) di registrazione della
telefonata per non meglio precisati fini, ascolta le vostre suppliche e, dopo
essersi consultata, con il “tecnico” , che sarà qualcosa tipo l’oracolo per i greci,
in un linguaggio esoterico sentenzia una risposta tipo: “Proviamo a
prendere uno stuzzicadenti, infilarlo nel foro, quello minuscolo che troverà
nella parte posteriore dell’apparecchio e proviamo a resettare tutto. Dovrebbe
funzionare”
A questo punto provo a immaginare il primo uomo in viaggio verso Marte a bordo di una sofisticatissima navicella spaziale che si trova a dover affrontare un imprevisto.
Lo immagino chiamare Houston a milioni di miglia di distanza per sentirsi rispondere: “Prendi uno stuzzicadenti…” e vedo la sua faccia terrorizzata
mentre sospeso nel vuoto, a metà strada dalla meta e senza possibilità di
rientrare alla base, realizzare che è finita.
Come me ora che dovrò ricevere la signora X e dirle che non sono riuscito ad
inviare al collega la sua documentazione perché la connessione non andava.
“Lo
vuoi un caffè ? ” - chiede quello.
“Mi
ci vuole proprio. Stamattina non sono connesso” - risponde l’altro
1 commento:
a volte è meglio non essere connessi...(gr)
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