sabato 7 novembre 2020

Lo vuoi un caffè? #478 - A NIGHTMARE

 



“Avvocato mia figlia è incinta.” -Mi annuncia al telefono in modo perentorio senza possibilità di replica la signora X.

Un brivido mi percorre la schiena.

“Aspetta un bambino” - continua lei come se potessi avere dei dubbi sul fatto che la figlia possa essere in attesa qualcosa di diverso …

Sento la mia fronte inumidirsi di sudore. L’ultima volta che ho lavorato per la signora X che, eufemisticamente, ha una vita familiare e personale, piuttosto complicata ed intricata è stato quando si è separata dal suo secondo marito, peraltro risposato in seconde nozze dopo una burrascosa separazione.

Credo sia stata l’esperienza più agghiacciante della mia vita professionale, un’esperienza che non auguro a nessun collega neppure quello più spocchioso ed antipatico.

La notte, e sono passati almeno due anni da allora, ho ancora nelle orecchie il trillare furioso del telefono che squilla nelle ore più impensate e improbabili per annunciarmi l’ennesima, violenta, litigata tra i due con tanto di, e non sto esagerando, spargimento di sangue.

Ho ancora negli occhi l’immagine della signora X che mi annuncia di aver “perdonato” il suo compagno e di aver fatto pace e che, pertanto, per suggellare la ritrovata armonia hanno deciso di sposarsi un’altra volta come se fosse la normale conclusione di un corteggiamento e non il punto di arrivo di un tormentato percorso fatto di risse, pestaggi e scambio incrociato di reciproche maledizioni e dei più atroci tormenti e dolori…

Solo una settimana prima si erano picchiati selvaggiamente per strada con tanto di intervento dei carabinieri.

“Auguri signora. Mi diventa nonna” - rispondo tentando di fare ironia mentre trattengo il fiato in attesa della botta.

 “C’è qualche problema?” -Azzardo prudentemente.

“Mia figlia e il suo compagno hanno litigato e mia figlia lo ha cacciato di casa” - risponde lei - “si vedeva dall’inizio che lui non era quello giusto. Gridava, si lamentava sempre e l’ha picchiata anche adesso che era incinta”- prosegue lei descrivendo con la massima naturalezza una situazione familiare che in altri contesti avrebbe comportato l’intervento delle teste di cuoio in assetto di guerra.

Mi si annebbia la vista. Sento che sta per chiedermi qualcosa.

“Volevo sapere cosa può fare lui quando nascerà il bambino. Può avanzare pretese? Io non voglio che vengano i servizi sociali a mettere il naso nelle cose della mia famiglia”- chiede lei.

Vorrei poter rispondere serenamente che se intervenissero i servizi sociali lo farebbero solo per portare lei e la sua famiglia direttamente allo zoo ma mi accorgo di sudare copiosamente e mi mordo la lingua.

Devo prendere tempo per riorganizzare le idee.

“Quando è previsto il parto?”-Chiedo, con voce seria e impostata, sperando in un lungo intervallo di tempo magari di almeno nove mesi, per trovare una soluzione o meglio una scusa per sottrarmi al supplizio.

Del resto penso, ingenuamente, quando è stata qui qualche tempo fa per discutere di un’altra sua questione non mi ha fatto alcun cenno né allo stato della figlia, né a problemi con il suo compagno per cui dovrebbe trattarsi di una cosa recente che magari si risolverà senza il mio coinvolgimento. Forse questa volta ce la faccio a sfangarla

“La prossima settimana” -mi gela lei.

 

“Lo vuoi un caffè?” -chiede quello.

“Vorrei espatriare” - risponde l’altro.

 

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