“Avvocato mia figlia è incinta.”
-Mi annuncia al telefono in modo perentorio senza possibilità di replica la
signora X.
Un brivido mi percorre la
schiena.
“Aspetta un bambino” - continua
lei come se potessi avere dei dubbi sul fatto che la figlia possa essere in
attesa qualcosa di diverso …
Sento la mia fronte inumidirsi di
sudore. L’ultima volta che ho lavorato per la signora X che, eufemisticamente, ha
una vita familiare e personale, piuttosto complicata ed intricata è stato
quando si è separata dal suo secondo marito, peraltro risposato in seconde
nozze dopo una burrascosa separazione.
Credo sia stata l’esperienza più
agghiacciante della mia vita professionale, un’esperienza che non auguro a
nessun collega neppure quello più spocchioso ed antipatico.
La notte, e sono passati almeno
due anni da allora, ho ancora nelle orecchie il trillare furioso del telefono
che squilla nelle ore più impensate e improbabili per annunciarmi l’ennesima, violenta,
litigata tra i due con tanto di, e non sto esagerando, spargimento di sangue.
Ho ancora negli occhi l’immagine
della signora X che mi annuncia di aver “perdonato” il suo compagno e di aver fatto
pace e che, pertanto, per suggellare la ritrovata armonia hanno deciso di sposarsi
un’altra volta come se fosse la normale conclusione di un corteggiamento e non
il punto di arrivo di un tormentato percorso fatto di risse, pestaggi e scambio
incrociato di reciproche maledizioni e dei più atroci tormenti e dolori…
Solo una settimana prima si erano
picchiati selvaggiamente per strada con tanto di intervento dei carabinieri.
“Auguri signora. Mi diventa nonna”
- rispondo tentando di fare ironia mentre trattengo il fiato in attesa della
botta.
“C’è qualche problema?” -Azzardo prudentemente.
“Mia figlia e il suo compagno
hanno litigato e mia figlia lo ha cacciato di casa” - risponde lei - “si vedeva
dall’inizio che lui non era quello giusto. Gridava, si lamentava sempre e l’ha
picchiata anche adesso che era incinta”- prosegue lei descrivendo con la
massima naturalezza una situazione familiare che in altri contesti avrebbe
comportato l’intervento delle teste di cuoio in assetto di guerra.
Mi si annebbia la vista. Sento
che sta per chiedermi qualcosa.
“Volevo sapere cosa può fare lui quando
nascerà il bambino. Può avanzare pretese? Io non voglio che vengano i servizi
sociali a mettere il naso nelle cose della mia famiglia”- chiede lei.
Vorrei poter rispondere
serenamente che se intervenissero i servizi sociali lo farebbero solo per
portare lei e la sua famiglia direttamente allo zoo ma mi accorgo di sudare
copiosamente e mi mordo la lingua.
Devo prendere tempo per
riorganizzare le idee.
“Quando è previsto il parto?”-Chiedo,
con voce seria e impostata, sperando in un lungo intervallo di tempo magari di
almeno nove mesi, per trovare una soluzione o meglio una scusa per sottrarmi al
supplizio.
Del resto penso, ingenuamente,
quando è stata qui qualche tempo fa per discutere di un’altra sua questione non
mi ha fatto alcun cenno né allo stato della figlia, né a problemi con il suo
compagno per cui dovrebbe trattarsi di una cosa recente che magari si risolverà
senza il mio coinvolgimento. Forse questa volta ce la faccio a sfangarla
“La prossima settimana” -mi gela
lei.
“Lo vuoi un caffè?” -chiede
quello.
“Vorrei espatriare” - risponde
l’altro.
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